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Читаем по-итальянски Antonio Tabucchi Sogno di Francois Villon,poeta e malfattore


All'alba del Natale del 1451, quando era immerso nell'ultimo sonno, Francois Villon, poeta e malfattore, fece un sogno. Sognò che era una notte di luna piena e che lui stava attraversando una landa desolata. Si fermò a mangiare un pezzo di pane che trasse dalla sua bisaccia e si sedette su una pietra. Guardò il cielo, e sentì un grande struggimento. Poi proseguì il suo cammino e arrivò a una locanda. La casa era buia e silenziosa, forse tutti dormivano. Francois Villon bussò con insistenza alla porta e gli aperse la moglie del locandiere.

Cosa cerchi a quest'ora, viandante?, disse la moglie del locandiere illuminando con la lanterna il volto di Villon. Cerco mio fratello, rispose Francois Villon, lo hanno visto l'ultima volta da queste parti e io voglio ritrovarlo.

Entrò nella locanda buia, rischiarata solo da un debole fuoco, e si sedette a un tavolo. Voglio montone e vino, ordinò, e si mise ad aspettare. La moglie del locandiere gli portò un piatto di patate lesse e una brocca di sidro. È quello che ab biamo per questa sera, disse, consolati viandante perché le guardie si aggirano in queste contrade e hanno finito tutto il nostro cibo.

Mentre Villon mangiava entrò un vecchio col volto coperto di stracci. Era un lebbroso, e si appoggiava a un bastone. Villon lo guardò e non disse niente. Il lebbroso si sedette dall'altra parte della stanza, vicino al fuoco, e disse: mi hanno detto che cerchi tuo fratello. La mano di Villon corse lesta al pugnale, ma il lebbroso lo fermò con un gesto. Io non sto dalla parte delle guardie, disse, sto dalla parte dei malfattori e ti posso guidare da tuo fratello. Si avvicinò alla porta appoggiandosi al suo bastone e Villon lo seguì. Uscirono nel freddo dell'inverno. Era una notte chiara e la neve nei campi era ghiacciata. Intorno a loro c'era una landa brulla orlata dal nero profilo di colline coperte di boschi. Il lebbroso prese un sentie ro e faticosamente si diresse verso le colline. Villon lo seguiva e intanto, per sicurezza, teneva la mano sul pugnale.

Quando la strada si fece in salita il lebbroso si fermò e si sedette su una pietra. Dalla sua bisaccia trasse un'ocarina e cominciò a suonare una musica nostalgica. Ogni tanto si interrompeva e cantava alcune strofe di una ballata furfantesca che parlava di stupri e di malfattori, di ruberie e di gendarmi. Villon lo ascoltava e rabbrividiva, perché sapeva che quella ballata lo concerneva. E allora sentì una specie di paura che gli attanagliò le viscere. Ma era paura di cosa? Non lo sapeva, perché lui non aveva paura dei gendarmi, né aveva paura del buio e del lebbroso. E sentì che quella paura era una specie di rimpianto, e di sottile dolore.

Poi il lebbroso si alzò e Villon lo seguì verso il bosco. Quando arrivarono al primo albero Villon vide che dai rami pendeva un impiccato. Aveva la lingua di fuori, e la luna illuminava lividamente il cadavere. Era uno sconosciuto, e Villon andò avanti. Anche dall'albero vicino pendeva un impiccato, ma anch'esso era uno sconosciuto. Villon si guardò intorno e vide che il bosco era pieno di cadaveri che penzolavano dagli alberi. Li guardò uno a uno, con serenità, aggirandosi fra i piedi che oscillavano alla brezza, finché non trovò suo fratello. Lo staccò tagliando la corda col pugnale e lo adagiò sull'erba. Il cadavere era rigido per la morte e per il gelo. Villon lo baciò sulla fronte. E in quel momento il cadavere di suo fratello parlò. La vita qui è piena di bianche farfalle che ti aspettano, fratello mio, disse il cadavere, e sono tutte larve.

Villon alzò la testa smarrito. Il suo compagno era sparito e dal bosco, come un grande coro funebre cantato in sordina, si alzava la ballata che cantava il le bbroso.


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