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Читаем по-итальянски Marcello Fois Nulla (3)


La fierezza dei tempi belli: i costumi tradizionali conservati nelle cassepanche, in naftalina. Riprodotti al millesimo, indossati per la Sagra con tacchi a spillo e trucco pesante. Variabili impazzite di una cultura che sta cedendo il passo. Che ha smarrito la via. Che annaspa tra cori e gruppi di ballo. Tra godersi un passato esaurito nelle messe commemorative. Nella ripetitività senza anima.

Nella fame costante di nuove e più puntuali erudizioni; di puntigliose ricostruzioni. Facendo gara a partecipare; ad esserci per quello che è stato, senza progetti; senza visioni. Facendo delle proprie case musei domestici di setacci e gioghi, di vecchie fotografie recuperate in soffitta, di puro, ombelicale, orgoglio. Imbattibile, indistruttibile, a patto che manchi il confronto.

Ecco la faccia assurda, beffarda, di questo angolo di mondo. Ecco il volto severo, sensibile, di questa porzione di mondo. Trattato come il peggiore di tutti, per dispetto. Ad infinito disprezzo. Amato come un figlio malato. Difeso a costo della vita. Fino a preparare ogni cosa con una perfezione vicina alla crudeltà.

Chi l’ha detto? Lui lo diceva.

Molti altri l’hanno accennato nella cabala delle possibilità. Nella giostra delle licenze. Lui lo diceva. Che aveva attraversato il mare e aveva scoperto una terra troppo grande, e lui troppo piccolo per viverci. Che aveva attraversato la città di fiume ed era stato invisibile. Che avrebbe voluto un altro amore, un’altra città, un altro lavoro e, pensate un po’, un altro viso. Chi lascia tutto questo, chi non vuole piegare il capo, chi sembra aspettare, chi tormenta lo spirito dei morti, per rifiutare il dolore…

Lui che non avrebbe potuto contare le chiome sulle quali aveva passato le dita. E faceva confusione con i nomi. Per chiunque avesse subìto il suo sorriso: quella canna puntata sulla fronte, quel bacio freddo per l’addio, quell’istante per l’infinito. Ed arrivare alla perfezione attraverso l’ultimo, definitivo abbrutimento. E farsi trovare riverso sul suo letto, quando sarebbe stato impossibile assumere una posizione accettabile, senza coreografia, tranne la vita che se ne era scappata chi sa dove, forse oltre il mare. Ma la camicia restata linda, di purezza crudele contro il rosso del sangue, quella la dice lunga, su come fosse perfetto il suo agire. E le etichette degli abiti appena comprati per l’occasione, per la partenza. E le scarpe col fondo intatto, che non avevano mai calpestato il suolo.

Per questo: per essere pronto da chiudere nella bara senza il timore di doverlo spogliare. Perché non si vedesse quale cibo sublime veniva apparecchiato per i vermi. Dubbi per chi continua e sollievo per gli invidiosi. Nessuno è al sicuro.


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