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Читаем по-итальянски Marco Bettini Color sangue (33)


«Abbiamo sbagliato piano.»

«Be’, ho premuto la T di terra, sono sicuro.»

Erano in mezzo a un corridoio con il soffitto basso, grezzo e solcato di tubature. Le piastrelle bianche del pavimento formavano un curioso contrasto con le pareti di cemento, nemmeno dipinte. A sinistra, il corridoio si allungava per un centinaio di metri e non se ne vedeva la fine. Sulla destra, dopo una trentina di metri, una semicurva nascondeva il resto della corsia. Nelle pareti laterali non si aprivano né finestre né bocche di lupo. Attaccate al soffitto, una serie di lampade, che Marco considerò d’emergenza, illuminava le pareti con una luce violenta e poco diffusa allo stesso tempo. Osservando meglio, il giornalista notò che per ogni lampada accesa due non funzionavano. Lo spazio tra una luce e l’altra era molto più grande di quanto avrebbe dovuto essere.

«Siamo finiti nel sotterraneo», constatò Marco.

«E da che parte si esce?» chiese Claudia.

«Non lo so», rispose il cognato che stava tentando di farsi tornare in mente gli articoli sui disservizi dell’ospedale.

«Ci conviene tornare in ascensore», aggiunse.

«Mi sa che qui ci vuole la chiave.»

Marco osservò la tastiera. Un solo pulsante con una piccola serratura di fianco. Niente chiave, niente ascensore.

Rammentò che, mentre scendeva, aveva premuto il bottone della T e che sotto c’era quello della S con accanto lo spazio per inserire la chiave. L’ascensore li aveva portati nei sotterranei, forse perché l’uomo con il carrello dei pasti lo aveva chiamato prima che lui premesse il bottone.


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