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Читаем по-итальянски Marco Bettini Color sangue (34)


«L’infermiere», disse per giustificarsi con Claudia. «È stato lui a farci arrivare giù. Veniva dalle cucine, perciò deve esserci un ingresso qui vicino. Proviamo a vedere dopo la curva.»

«No», lo fermò Claudia. «Aspettiamo che qualcuno torni con l’ascensore.»

«Va bene.»

«Luca come ti sembra?» cambiò argomento lei.

«Bene», mentì Marco, che si sentì in dovere di aggiungere: «Nessuno sa reagire come lui».

«È vero.»

L’irrequietezza di Claudia non accennava a diminuire. Emise un suono a metà tra il sospiro e il gemito che Marco non avrebbe saputo interpretare se non si fosse girato nella direzione dello sguardo di lei. Osservò il corridoio dalla parte della curva e vide nella penombra, a trenta metri di distanza, un uomo dall’aspetto poco rassicurante.

Claudia si era spaventata per quell’improvvisa presenza. Lo sconosciuto mosse alcuni passi per avvicinarsi e finì nel cono di luce di una lampada. La maglia logora spuntava sotto un cappotto dal colore indefinibile. I capelli lunghi, in disordine, e la barba incolta, l’aspetto trasandato e i pantaloni sporchi dicevano di lui tutto quello che c’era da sapere in quel momento.

Finalmente Marco ricordò gli articoli che aveva letto sui sotterranei del policlinico. I sindacati degli infermieri avevano protestato perché stava diventando troppo rischioso, per il personale, usarli per spostarsi da un reparto all’altro. Una notizia che non aveva trovato grande risalto, liquidata dalla «Voce» come l’ennesima rivendicazione sindacale.

L’istinto guidò le sue azioni successive. Marco afferrò con forza il braccio sinistro di Claudia e tirò.

«Corri», sibilò tra i denti. «Corri.»


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