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Читаем по-итальянски Marco Bettini Color sangue (21)


Casti avvitò la siringa allo spinotto che sporgeva dal collo e iniettò l’antidoto al potassio. Dopo pochi secondi il battito cardiaco segnato dai tracciati cambiò di nuovo. Lentamente, tornò a disegnare curve più rotonde, mentre il respiro di Luca Cambi si faceva prima meno affannato e poi di nuovo regolare.

«Preso per i capelli», si congratulò con se stesso il dottore. «Il cuore si stava fermando.»

«Mi faccia preparare un letto per la dialisi», ordinò all’infermiera. «Subito.»

«E la moglie?» si preoccupò la donna.

«Adesso non c’è tempo. La porti in sala d’attesa. Le dica che gli facciamo la dialisi per aiutarlo a superare i postumi dell’intervento, ma me la tenga lontana per un po’.»

L’infermiera uscì e il medico controllò ancora una volta le condizioni del malato. Gli staccò la siringa dal collo, gli tolse dal petto i sensori che tenevano sotto controllo il cuore, liberò il letto dall’intreccio di fili che lo ancoravano alle macchine e ai monitor.

«Adesso» sorrise rivolto a Luca Cambi che si stava rianimando «andiamo a fare un giretto.»

La cittadella dell’ospedale cresceva e si allargava come i funghi velenosi nel sottobosco. Nell’area del policlinico gli edifici, i padiglioni, i muretti di recinzione, le aree di parcheggio, gli uffici, i camici dei medici e delle infermiere, si annullavano nel bianco regolamentare. L’assenza di colore si rifletteva anche sull’arancione smorto delle cabine telefoniche, sul verde trascurato delle aiuole, sul giallo fumo dei taxi, sulle poche piante brune, sulla terra pallida, ai lati dei vialetti d’accesso, che si confondeva con il grigio dell’asfalto.

Ogni tinta accompagnava il visitatore nel cuore del nulla e fermava il tempo a un’ora perenne del primo mattino. Il policlinico non aveva niente di bello e niente di colorato. Si accontentava della propria utilità.

Nel tempo, mentre crescevano le specializzazioni e le lotte per il potere tra medici, i padiglioni erano aumentati. L’ospedale aveva occupato tutte le aree limitrofe, si era mangiato parcheggi e palazzi fatiscenti. Si era dilatato con i suoi vialetti, i suoi uffici, i suoi bar. Era diventato una città autonoma dentro la città. Milioni di metri cubi di cemento, distribuiti tra cinquanta palazzoni, le strade che li collegavano e i muri che delimitavano l’intera area.


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