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Читаем по-итальянски Marco Bettini Color sangue (8)


Balloni e Illustri furono scossi da un fremito di sdegno, come una vergine davanti all’offerta di amicizia di uno stupratore. La De’ Randi aveva seguito solo le prime venti parole. Abbastanza per capire che quell’impiegato metteva in dubbio le sue affermazioni.

«Quindi» ribadì Quindi come se Marco non avesse mai parlato «devo chiedere al comitato di redazione di non porre ostacoli al piano di risanamento aziendale. Confido nel vostro spirito di collaborazione. Ora devo lasciarvi a causa di un impegno precedente, ma mi terrò informata sugli sviluppi della trattativa.»

L’editore si alzò, convinto di aver posto le solide fondamenta di un inevitabile accordo. Protese in avanti il corpo atletico, scosse leggermente i capelli biondi mentre dava la mano ai tre giornalisti e infine piantò gli occhi verdi in quelli castani di Marco. Lo scontro di sguardi si concluse senza vincitori. La De’ Randi salutò distrattamente Balloni e Illustri, implicito ammonimento a non rovinare quanto di buono aveva appena costruito. Appena Quindi lasciò la stanza, cominciò la trattativa vera e propria.

L’uomo che camminava davanti a lui agitava la torcia elettrica a destra e sinistra, ma tutto quello che riusciva a rivelare era una serie di cavità nelle pareti di roccia. Il vicequestore Mormino cercava di illuminare il terreno, per guidare i loro passi nel buio, visto che il casco di metallo con la lampada sulla parte frontale rischiarava solo venti centimetri davanti al naso. Con i gruppi elettrogeni aveva inquadrato i primi trenta metri della strada che si inoltrava nella miniera, ma al primo tornante aveva dovuto estrarre la torcia. Usare l’auto di servizio era fuori discussione. Sarebbe servito un fuoristrada ma la polizia scientifica non era dotata di mezzi così costosi.

Per scendere fino a quota meno cento aveva chiesto l’aiuto della società proprietaria della grotta, che gli aveva mandato un esperto. Almeno, così l’avevano definito al telefono. Solo che l’esperto, cioè il tecnico minerario, non era mai stato dentro quella grotta e camminava a tentoni come Mormino.

La miniera non rispecchiava affatto l’idea che il poliziotto si era fatto di una miniera. Tanto per cominciare, la strada era accidentata ma larga.

«Non fosse per il buio, si cammina bene», disse Mormino.

«Per forza», lo rassicurò l’esperto. «Ci dovevano passare i camion carichi di gesso. Infatti il fondo è segnato dai solchi. Sente, col piede?»

«Anche il soffitto è così alto per via dei camion?»

«Certo. Si aspettava dei cunicoli come nelle miniere di carbone?»

«In un certo senso.»

Camminando, Mormino si rese conto che non sarebbe mai riuscito a ispezionare la grotta in modo accurato. Con la torcia si potevano controllare bene la strada sterrata e il soffitto. Ma i lati erano pieni di buchi, rientranze, crepacci e imbuti, troppo numerosi e troppo profondi per essere esaminati. Si sentiva come un esploratore all’interno di una spugna.

Uno speleologo avrebbe impiegato mesi a disegnare le coordinate di quel posto.

«Chiunque sia stato» considerò l’esperto «non credo sia arrivato in auto fin qui.


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