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Читаем по-итальянски Marco Bettini Color sangue (12)


C’è gente a cui piacciono i cacciatori. Rappresentano una delle tante incarnazioni moderne dell’uomo primitivo, intento a procurarsi il cibo preparando trappole per i mammut. In mancanza dei mammut, i cacciatori contemporanei sparano per lo più a fagiani allevati in cattività e resi selvatici con due giorni di razzolamenti nel sottobosco. Bersagli facili, che spesso corrono direttamente incontro all’uomo con il fucile, scambiandolo per quello che li ha allevati.

Il capitano Cau era un cacciatore d’uomini. Nel corso della sua carriera nell’Arma, iniziata undici anni prima, quando era uscito dall’Accademia all’età di ventitré anni, aveva sparato molte volte. Due volte gli avevano sparato.

La prima era stato un bandito che aveva forzato in auto un posto di blocco. Cau e il suo compagno di pattuglia avevano evitato per un soffio di essere investiti. Si erano lanciati all’inseguimento, finché avevano bloccato l’auto in una strada di campagna contro l’argine di un fiume in secca. Il bandito era sceso con il mitra in mano, sparando a raffica.

Pietro Cau si era gettato pancia a terra sulla sua sinistra, contro un muretto di sassi alto trenta centimetri. Aveva sentito il fischio dei proiettili sopra la sua testa, non ancora calva.

L’altro carabiniere, terrorizzato, era rimasto alle sue spalle, protetto dall’auto. Aveva imbracciato la mitraglietta e aperto il fuoco. Non aveva colpito il bersaglio, ma Cau aveva sentito i proiettili fischiare molto più vicino alla sua testa non ancora calva rispetto a quelli sparati dal bandito. Aveva urlato, aveva imprecato, aveva minacciato.

Il carabiniere aveva smesso di sparare. Cau aveva impugnato la pistola, si era alzato dal suo rifugio improvvisato, esponendo il corpo massiccio, aveva preso la mira e premuto il grilletto. Un colpo solo, in mezzo al petto. Il bandito era crollato.

Quando i due carabinieri lo avevano raggiunto, stava tentando di aspirare l’aria con la bocca spalancata.

Pochi secondi dopo era morto.
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