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Читаем по-итальянски GRAZIA VERASANI, L'AMORE E' UN BAR SEMPRE APERTO (20)


Sto per uscire di casa per andare da Diego quando suona il telefono. Rispondo e sento la sua voce bassa e sicura che dice: «Ciao, Adele. Sono Angelo Cera, chiamo per il nostro appuntamento. Potrebbe andare bene lunedì?»

«Lunedì?», tartaglio. «Be’, sì, sono libera, non ho ancora preso impegni…»

«Allora me lo segno», fa lui. (Segna segna, penso, tanto non verrò. Né a Roma da Martini né a Milano da te. Io odio spostarmi. Io odio muovermi. Lasciatemi qui, nel mio bunker, col mio gatto, il mio giardino, i miei libri, i miei amici, i miei fantasmi. Io non disturbo voi, voi non disturbate me.)

«Adele», ancora la sua voce «nessuno ti costringe».

E lo dice in un modo che, improvvisamente, se potessi, mi precipiterei da lui.

«Lo so», rispondo, e c’è un leggero imbarazzo nella mia voce.

Salgo in macchina che sono parecchio agitata. ‘Adele, nessuno ti costringe’. È come ha pronunciato il mio nome, o è stata la frase ‘nessuno ti costringe’ a farmi venire un po’ di tremarella? Stupida, mi dico, pensa alla serata che ti aspetta, a vincere a tresette; riguardo a Cera hai tempo fino a lunedì. (Ma ho ancora la sua voce all’altezza dell’inguine.)

Cerco di ricordarlo. È alto? Non ne ho idea, certo non è basso. Che età avrà, cinquant’anni? Poco più poco meno… C’era troppo buio in quel locale di Milano – com’è che si chiamava? Il gatto e la volpe – e troppa confusione. Era seduto a un tavolino in angolo, avvolto in una nuvola di fumo, composto e rigidissimo come la sua stretta di mano. «Piacere, Angelo Cera». Dopo il concerto salutò Beppe Marina, il mio produttore, e a me rivolse qualche complimento di circostanza, fissandomi con uno sguardo azzurro e impenetrabile prima di voltare la sua schiena eretta e uscire dal locale. Aveva un’aria da ex ragazzo stanco; la magrezza delle sue gambe, messa in evidenza dal tessuto svolazzante dei pantaloni ampi, mi fece pensare all’eleganza innata di certi ballerini.

L’appartamento di Diego è spazioso e arredato con gusto. Mobili antichi di famiglia, pezzi di valore ereditati da nonni e zii forlivesi, sono disseminati un po’ ovunque. Il mio preferito è un armadietto per i medicinali del diciannovesimo secolo, lungo e pieno di cassetti. Il salone è una grande stanza con un angolo cottura completo di camino. La carta da parati a strisce bianche e avorio è tappezzata dai quadri a china del padre, docente universitario di fisica e artista amatoriale. Per il resto, libri e riviste scientifiche sparsi dappertutto.


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