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Читаем по-итальянски GRAZIA VERASANI, L'AMORE E' UN BAR SEMPRE APERTO (19)


Lo sentivo perdibile, più perdibile di chiunque altro avessi mai conosciuto, e avevo una tale fretta di perderlo da non riuscire a viverlo. Sentivo sempre imminente il momento in cui avrei chiuso con lui e me ne sarei andata via.

La sua faccia sensuale sorrideva dai manifesti pubblicitari affissi su tutti i muri di Roma e dagli schermi dei cinema, eppure io sapevo che non era felice, oppresso da impegni più grandi di lui, rincorso dai fan e dai registi perché era ‘il suo momento’, e dall’agente che gli procurava scritture senza consultarlo.

«Attore preso dalla strada…» sbuffava «non si dice così?»

E intanto gli cresceva dentro un’infezione: quella di credersi davvero il nuovo Jimmy Dean. Lo ringraziavo in silenzio di quegli splendidi otto mesi di addio, di tutte le vertigini, di tutte le risate. Ma avevo promesso di perderlo e lo feci. Ovviamente non fui io ad andarmene. Damiano salì su un treno perl’Umbria, regione dove si sarebbero svolte le riprese del suo prossimo film, e io lo guardai da giù, salutandolo. (Sono belle le persone quando partono, quando vanno via. Le fermi avidamente nello sguardo, sai che non saranno più così. E poi, come capita con tutti quelli che perdi senza averne voglia, sai che la condanna ovvia è che li amerai per sempre.)

Affacciato al finestrino mi disse: «Ricordati, amo solo te e Patsy Kensit». Risi dello scherzo e voltai i tacchi, pensando che naturalmente succedeva sempre come ne Il diavolo in corpo di Radiguet: è lei che muore.

Sapevo che avrei portato Damiano con me continuamente, ovunque andassi, perché nessuno di noi, in fondo, è solo di se stesso. «Siamo frasi composte, strade che si intersecano…» Eppure lo lasciai andare senza fare una piega, senza un’insistenza, un rilancio, con la disponibilità che ho e che ho sempre avuto a perdere tutti, soprattutto quelli che amo.

Quando tre mesi dopo lasciai la capitale per sempre, seppi da qualcuno che l’aveva lasciata anche lui. Si era trasferito a Parigi per amore di una vietnamita, e lì aveva avuto qualche piccolo ruolo in un paio di film. Sono quindici anni che non ne so più niente. Ma un anno fa, al tavolino di un bar della stazione Termini, mi sembrava ieri che era ancora lì, con me, come il giorno in cui era partito, con quegli occhi diffidenti e verdissimi e quel sorriso a metà tra Walt Disney e L’impero dei sensi.


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