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Читаем по-итальянски GRAZIA VERASANI, L'AMORE E' UN BAR SEMPRE APERTO (18)


Voleva dei testi che parlassero di libertà, viaggi, e amori vagamente trasgressivi. L’importante era che usassi il ‘linguaggio dei giovani’. «Tipo ‘Ba-ba-bambolina’, hai presente?»

Avevo presente. Doveva diventare il nuovo idolo di sbarbe urlanti e piangenti sotto un palco, doveva spezzare il cuore a una massa di ragazzine con lo zainetto.

«Niente politica», concluse «o poca poca, tipo Piero Pelù. Hai presente?» Avevo presente.  Accompagnandomi alla porta, Martini aggiunse che aveva in serbo per me anche un altro artista. «Sentissi che vocione…» gongolò «è Michael Bolton sputato!»

Mi diedi disponibile.

Ricordo che quel pomeriggio (quando fu? un anno fa?) persi il treno, e me ne restai seduta al tavolino di un bar della stazione Termini ad aspettare il prossimo. Non avevo nessuna voglia di girare per Roma, me la ricordavo troppo bene, o forse temevo di vedere fisicamente trasformati i miei ricordi. A ventun anni avevo vissuto lì per un po’ in cerca di fortuna.

Ricordavo perfettamente il profumo di arance e di anguille al mercato di Campo dei Fiori, le lische dei pesci ai piedi del Giordano Bruno, le primavere lunghe e precoci dai cieli color malva sul Gianicolo, gli stranieri che uscivano dall’hotel Excelsior per passeggiare tra le macerie della dolce vita, il Tevere in piena che nascondeva l’isola Tiberina, le corse su e giù per ponte Sisto, le gattare dei vicoli, il Compro Oro degli usurai romani dove esitavo l’anello d’oro del nonno per un barattolo di Nutella che faceva gola da mesi…

E poi ricordavo Damiano.

Faceva l’attore, Damiano, aveva un agente ed era molto richiesto: bello, biondo, selvaggio, e con tre anni meno di me. In realtà a lui non importava granché del cinema, sapeva suonare bene la chitarra e anche il basso e per un po’ di tempo fece parte della mia band romana Prime nuvole, quando gli impegni del set glielo permettevano.

Sui giornali parlavano di lui paragonandolo addirittura a James Dean, forse a causa del suo piglio ribelle e della sua androginia, che faceva flippare gay e adolescenti. Lo accompagnavo alle prime dei suoi film, senza soffrire troppo per tutte le ragazzine invasate che correvano a chiedergli un autografo. Ero talmente rassegnata a perderlo che, in quegli otto mesi, una sola volta mi lasciai andare a qualche smanceria. Avevamo appena fatto l’amore e Damiano si stava addormentando.

«E se mi stessi innamorando di te?», gli dissi.

«Sono stanco», rispose «io sono ancora giovane».

Decisi che forse lo amavo perché non esisteva. Trovavo irresistibili i suoi silenzi sfacciati, i suoi capelli punk, i suoi buchi nei pantaloni, i suoi diciott’anni e il fatto che non avesse mai letto un libro in tutta la sua vita.

Quando stava male, e non sapeva spiegarmene il motivo, avevo la sensazione che il suo dolore stesse cominciando, mentre il mio poteva solo progredire. Allora gli consigliavo di leggere dei libri, ma lui mi rispondeva che non era tipo da farsi gli affari degli altri.


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