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Читаем по-итальянски GRAZIA VERASANI, L'AMORE E' UN BAR SEMPRE APERTO (13)


Tre anni fa Pietro ha venduto la sua DW argento. Ora fa lavori saltuari. Vive ancora con Elena (da un giorno all’altro mi aspetto che qualcuno casualmente mi dica che sono in attesa del loro primo figlio). Negli anni della mia storia clandestina con lui, ho avuto spesso la tentazione di raccontare tutto alla sua donna, ma non l’ho mai fatto. Anche perché ero certa che lei sapesse, o perlomeno immaginasse, e che preferisse fingere, passare sopra, pur di non perderlo.

Era Elena a togliere dalle mani di Pietro un rum di troppo. Era Elena a somministrargli in orari precisi le pastigliette per il fegato. Era Elena a occuparsi di tutte le cose che concernevano affitto, bollette, rate dell’auto, scadenze.

Era Elena che conosceva i suoi cibi preferiti, che spazzolava via i suoi peli dalle lenzuola, che tirava lo sciacquone quando lui se ne dimenticava, che insaponava le ascelle delle sue magliette, che lo sentiva scoreggiare nel sonno. Era Elena che gli ricordava le date dei compleanni dei suoi genitori e dei suoi fratelli. Ed era sempre Elena che gli telefonava, quando eravamo in tournée, sorvolando sulla mia presenza in camera.

Quando Pietro mi lasciò, Elena vide passare il mio cadavere nel fiume e per un po’ fu tranquilla. Non so quanto può essere durata la sua tranquillità. Senza di me, Pietro dovette fare i conti solo con lei.

L’ultima notte, in quella stanza azzurra, la numero 44 dell’Hotel Spadari di Milano, eravamo sul letto, nudi, al buio, ad ascoltare da un mangiacassette una canzone dei Brad: Nadine.

«Devi guardarti dentro per capire cosa vuoi veramente», lo incalzavo. E lui, tirandosi su dal letto: «Se mi guardo dentro, vedo solo il fegato che sta andando a pezzi…»

«Se smetti di cantare, Adele», continuò, sulla soglia del bagno «io vendo la batteria. Non voglio finire a fare l’orchestrale in giro».


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