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Читаем по-итальянски GRAZIA VERASANI, L'AMORE E' UN BAR SEMPRE APERTO (14)


Quell’ultimo periodo era stato tremendo sotto molti aspetti. La mia casa discografica non aveva voluto rinnovarmi il contratto e Pietro si ubriacava prima e dopo i concerti. «Anche se bevo», diceva «io non vomito mai». Vero, mai che riuscisse a svuotarsi lo stomaco, teneva tutto dentro.

C’erano concerti in cui lei lo accompagnava. Distoglievo lo sguardo, a cena, per non vederli seduti vicini. (Se io non esistessi, pensavo, l’avrebbe già lasciata.)

Ora il telefono è muto. Chiunque fosse non richiamerà. Secoli fa afferravo il ricevitore sopra il comodino ancora prima che squillasse: sentivo che era lui. Mezz’ora dopo aprivo la porta a assalti e carezze che mi liquefacevano. Ha mai capito che avrei saputo vivere anche solo di attimi? Si è mai chiesto cosa ho provato il primo giorno che l’ho visto, di schiena, mentre prendeva in mano con delicatezza i piatti della sua batteria? (Non avevo mai guardato la schiena di un uomo come un luogo di appartenenza, come un domicilio.)

Ha mai pensato all’emozione estrema che sentivo al centro del petto, in mezzo ai miei polmoni? Si è mai reso conto di avere dato ossigeno e fantasia a mille spartiti, canzoni, piogge, notti d’insonnia, e che non potrò mai odiarlo ma solo ringraziarlo, anche se c’è stato così poco, anche se ho contato poco o nulla per lui?

E poi era anche sesso, sì, sesso: desiderio di averlo davanti, dietro, nella bocca, dappertutto. Desiderio di fare carovane di sveltine nelle toilette di grandi magazzini, palasport, aeroporti, sottopassaggi.


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