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Читаем по-итальянски GRAZIA VERASANI, L'AMORE E' UN BAR SEMPRE APERTO (5)


Ho rinnegato copiosi sudori di gavetta e mi sono messa a scrivere per committenza canzonette orecchiabili, cose banali e finte di cui sono avide le radio, le televisioni, le case discografiche e le kermesse canore. Ho imparato a scrivere di gente che vuole volare o cadere – tipo ‘cielo blu cado giù’ o ‘cielo blu volo su’ –, di cuori adolescenti spezzati, innamoramenti senili, minacce strappalacrime contro chi tradisce, rime ‘rose spose’, ‘sole bagliore’, ‘amore dolore’ e lune che fanno da testimonial a spot di amori Motta o a approcci bucolici sui prati verdi. Così, mi mantengo.

A parte questo, sono una che se camperà fino a ottant’anni, cosa che non credo, della sua vita ne avrà vissuta una minima parte e l’altra l’avrà solo immaginata. La realtà mi sfugge. Anche se a volte ci sono fatti, meravigliosi o terribili, che mi colgono di sorpresa come un pacco-regalo sopra lo zerbino. Be’, ne ho avuti almeno due di fatti così: la musica e un batterista che si chiamava Pietro. Di lui parlo al passato perché ho smesso di vederlo tre anni fa, e poi perché quello che più conta per me è dietro le mie spalle. No, nessuna nostalgia. Solo il passato. Questa materia che plasmo all’infinito. Questa scorrettissima memoria, percorsa e ripercorsa migliaia di volte e in migliaia di modi diversi.

Memoria… Detesto chi viaggia senza bagaglio. E il mio è abbastanza pesante. Anche se tra un po’ verrà qui Mario a dirmi che dovrei essere leggera come una rondine. Allora. Lavoriamo di metrica. Linda. Solare e positiva. Parlerò di un amore a lieto fine. Un’altra, ennesima, canzone d’amore. (Perché, c’è qualcos’altro di cui si può parlare in una canzone?)

Prima però chiamo Nadia.

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