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Читаем по-итальянски Ian McEwan L'inventore di sogni


Nei pomeriggi d’inverno, di ritorno da scuola, non c’era cosa che Peter amasse di più che sfilarsi con un calcio le scarpe e sdraiarsi davanti al fuoco del tinello accanto al Gatto William. Gli piaceva mettersi giù all’altezza di William e poi andargli vicino vicino con la faccia a guardare la sua, quella faccia straordinaria diversa e bellissima, con ciuffi di pelo nero che si aprivano a raggio intorno al musetto, e i baffi bianchi leggermente piegati all’in giù, e i peli del sopracciglio sparati dritti come antenne della televisione, e gli occhi verde chiaro con quelle fessure strette come porte socchiuse su un mondo nel quale Peter non sarebbe mai potuto entrare. Appena gli si avvicinava, incominciava il ronzio soddisfatto delle sue fusa, talmente basso e potente da far vibrare anche il pavimento. E Peter sapeva di essere gradito.

Fu proprio in uno di quei pomeriggi, e proprie di martedì, guarda caso, le quattro appena e fuori già quasi buio, le tende tirate e la luce accesa, che Peter si accomodò sul tappeto vicino a William, davanti a un bel fuoco le cui fiamme si arricciavano intorno a un grosso ciocco di legno d’olmo. Giù dal camino veniva il gemito del vento gelato che intanto spazzava i tetti. Per non sentir freddo, Peter aveva sfidato Kate a chi faceva prima dalla fermata dell’autobus fino a casa. Adesso era al caldo ¡ e al sicuro con il suo vecchio amico il quale, disteso sulla schiena con le zampe anteriori ciondoloni, faceva finta di essere più giovane dei suoi anni. Voleva farsi accarezzare la gola. Mentre Peter gli passava le dita tra il pelo con dolcezza, il mormorio delle fusa si faceva più forte, finché ogni ossicino del vecchio gatto sembrò mettersi in movimento. Poi, William allungò una zampa verso le dita di Peter, come a tirargliele un po’ più su. E Peter si lasciò guidare.


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