Читаем по-итальянски Ian McEwan L'inventore di sogni
Faceva caldo in cucina, quasi come nel letto, ma non
c’era la stessa pace. L’atmosfera era carica di accuse nervose travestite da
domande.
- Chi ha dato da mangiare al gatto?
- A che ora pensi di essere a casa?
- Hai finito i compiti?
- Chi ha preso la mia valigetta?
Col passare dei minuti crescevano il trambusto e la
tensione. In famiglia vigeva una regola: prima che tutti uscissero, la cucina
doveva essere in ordine. Capitava perciò di dover acchiappare alla svelta una
fetta di pancetta, se non la si voleva veder finire direttamente nella ciotola
del gatto mentre la padella affondava sfrigolando dentro l’acqua dei piatti. I
quattro membri della famiglia andavano e venivano di corsa urtandosi con
scodelle sporche, e scatole di cereali. E c’era sempre qualcuno che brontolava:
- Farò tardi. Sono di nuovo in ritardo. Con questa fa tre volte in una settimana.
C’era però anche un quinto membro della famiglia, il
quale non aveva mai furia e ignorava tutto quel finimondo. Se ne stava sdraiato
sulla mensola sopra il calorifero, con gli occhi socchiusi, dando appena in
qualche sbadiglio di quando in quando. Erano sbadigli enormi, offensivi. La
bocca si spalancava rivelando una bella lingua rosa e quando finalmente tornava
a chiudersi, il corpo intero, dal baffo alla punta della coda, era percorso da
un fremito pigro: William, il gatto, si preparava a vivere un’altra giornata.
Quando Peter afferrava la cartella e si dava ancora un’occhiata
intorno prima di uscire di casa di corsa, era sempre William l’ultima cosa che
vedeva. Teneva la testa appoggiata a una zampa, mentre quell’altra ciondolava
molle dal bordo della mensola, e si godeva l’aria calda che saliva. Una volta
liberatosi di quei ridicoli esseri umani, il gatto avrebbe potuto sonnecchiare
in pace per qualche ora. L’immagine del micio sonnolento non mancava di
torturare Peter ogni volta che, uscendo di casa, riceveva il benvenuto di una
raffica gelida di tramontana.