Читаем по-итальянски Ian McEwan L'inventore di sogni
In simili occasioni, era sempre Peter a finire nei
guai, mentre Kate se la cavava alla grande. O almeno così la vedeva Peter. Se
si arrabbiava con sua sorella, doveva pensarci bene, prima di picchiarla.
Spesso per evitare la guerra, tracciavano una linea immaginaria che dalla porta
attraversava la stanza. Di là stava Kate, e di qua Peter. Da questa parte, la scrivania
di Peter con le matite e i colori, il suo animale di pezza, la giraffa col
collo storto, il piccolo chimico, la scatola dei componenti elettrici e quella
degli stampini che non venivano mai bene come quelli disegnati sul coperchio, e
la cassetta di latta che conteneva tutti i suoi segreti e che Kate cercava
sempre di aprire.
Dall’altra parte, la scrivania di Kate, il suo
telescopio, il microscopio e le calamite che invece erano dentro la scatola
proprio come le si vedeva sul coperchio, e per tutto il resto della sua metà
camera, c’erano le bambole. Stavano sedute sul davanzale della finestra con le
gambe ciondoloni, in bilico sulla cassettiera e pigiate contro gli specchi,
sedute dentro la carrozzella, stipate come operai pendolari sulla metropolitana.
Le preferite erano quelle più vicine al suo letto. Ce n’erano di tutti i
colori, dal nero più nero e lucido come vernice da scarpe, al bianco più
smorto, ma per lo più erano di un bel rosa acceso. Certe erano nude. Altre
indossavano una sola cosa, un calzino, una maglietta, o una cuffia. Alcune
erano tutte agghindate in sontuosi vestiti da ballo con fasce, tuniche in pizzo
e strascichi carichi di nastrini. Erano una diversa dall’altra, ma una cosa in
comune l’avevano: quello sguardo fisso, arrabbiato, da pazze. In teoria
avrebbero dovuto essere dei neonati, ma gli occhi le tradivano. I neonati non
guardano in quel modo nessuno. Passando accanto alle bambole, Peter si sentiva
scrutato e, uscendo dalla stanza, sospettava sempre che si mettessero a parlare
di lui, tutte e sessanta.