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Читаем по-итальянски Ian McEwan L'inventore di sogni


Alcuni passeggeri erano scesi, e l’autobus stava già ripartendo. Peter era più vicino questa volta. Il veicolo arrancava dietro a un camion. Se solo fosse riuscito a correre, senza badare al terribile dolore alle gambe e alla fitta al petto, l’avrebbe raggiunto. Quando arrivò alla fermata, l’autobus era a una cinquantina di metri appena da lui. «Più in fretta, più in fretta», si ripeté.

Un bambino che stava sotto la tettoia della fermata, vedendolo passare gli gridò: - Peter, ehi, Peter!

Peter non ebbe neppure la forza di voltare la testa. Ansimando, continuò a correre.

- Peter! Fermati. Sono io, Kate! Mettendosi una mano sul petto, Peter crollò a terra sull’erba, ai piedi di sua sorella.

- Attento! Non vedi che c’è una cacca di cane? - disse lei tranquilla, osservando il fratello che cercava di riprendere fiato. - Dai, su. E meglio che torniamo, se no faremo tardi. E dammi la mano, se non vuoi cacciarti in qualche altro guaio.

Così arrivarono a scuola insieme, e molto signorilmente Kate promise di non fare parola di quanto era accaduto quando tornavano a casa. In cambio dello stipendio settimanale di Peter, s’intende. A scuola, il problema dei sognatori a occhi aperti, e di poche parole per giunta, è che gli insegnanti, specie quelli che non vi conoscono bene, tendono a considerarvi un po’ stupidi. O se non proprio stupidi, come minimo, tonti. Non c’è nessuno che riesca a vedere le cose fantastiche che vi passano per la testa. Se un insegnante vedeva Peter assorto a scrutare fuori dalla finestra, o bloccato davanti a un foglio bianco, pensava che si stesse annoiando o che non sapesse la risposta al quesito. Ma la verità era ben diversa.


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