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Читаем по-итальянски Ian McEwan L'inventore di sogni


Caso mai vi facesse strano pensare a un gatto come a un vero membro della famiglia, dovete sa pere che William aveva più anni di Peter e di Kate messi insieme. Aveva conosciuto la loro mamma da piccolo, quando lei ancora studiava. L’aveva seguita per tutto il corso universitario e, cinque anni dopo, era stato presente al ricevimento di nozze. Quando Viola Fortune aspettava il primo bambino e certe volte si riposava a letto di pomeriggio, il Gatto William si acciambellava intorno a quella gran gobba rotonda dove dentro c’era Peter. E dopo la nascita tanto di Peter quanto di Kate, era scomparso di casa per giorni e giorni. Nessuno sapeva dove andasse, né perché. Era stato un testimone muto di tutte le gioie e i dolori della famiglia. Aveva osservato i poppanti crescere fino a muovere i primi passi e a cercare di trascinarlo per le orecchie, e aveva visto quegli stessi bimbetti farsi scolari. Conosceva i loro genitori dai tempi in cui erano una coppia di svitati che vivevano in un monolocale. Adesso erano un po’ meno svitati e avevano una casa con tre stanze da letto. Del resto, anche il Gatto William si era fatto più tranquillo. Aveva smesso di portare in casa topi e uccellini da deporre ai piedi di ingrati essere umani. Da poco dopo il suo quattordicesimo compleanno non lottava più nell’orgogliosa difesa del suo territorio. Peter giudicava intollerabile che il giovane bellimbusto della casa vicina stesse prendendo possesso del giardino, senza che William potesse reagire. Certe volte lo sfrontato arrivava al punto di entrare in cucina passando dalla ribaltina della porta di servizio, e andava a mangiare la pappa di William, mentre il vecchio gatto restava a guardare impotente. E dire che fino a pochi anni prima, nessun gatto dotato di un minimo di buon senso, avrebbe mai osato posare una zampa al di là del muretto.

Chissà quanto soffriva William di non esser più forte come un tempo. Rinunciò alla compagnia di altri gatti, per starsene seduto in casa, solo con i suoi pensieri e i suoi ricordi. Ma, a dispetto dei diciassette anni, si manteneva lucido e pulito. Era quasi tutto nero, fatta eccezione per le ghette e lo sparato bianchissimi, come la punta della coda. Certe volte veniva a vedere dove eri seduto e, dopo un attimo di riflessione, ti saltava in grembo e restava così sulle quattro zampe ben distese, a guardarti fisso dentro gli occhi, senza mai battere ciglio. Poi magari fletteva la testa, pur continuando a sostenere lo sguardo, e se ne usciva in un unico miagolio, e allora si poteva esser certi che avesse detto qualcosa di saggio e importante, qualcosa che tu non avresti capito.


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