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Читаем по-итальянски Ian McEwan L'inventore di sogni


Kate era così contenta che diede una mano a trasportare le cose di Peter sul pianerottolo. Basta con le risse. E non avrebbe neppure più dovuto stare a sentire gli orrendi sibili e gorgoglii che suo fratello faceva durante la notte. Peter dal canto suo non riusciva a smettere di cantare. Adesso aveva un posto dove poteva rifugiarsi e, si insomma, vivere. Quella sera decise di coricarsi mezz’ora prima per godersi il piacere della sua stanza, delle sue cose, senza doversi preoccupare di nessuna linea immaginaria nel mezzo del pavimento. Si sdraiò nella semioscurità, pensando che in fondo non tutto il male viene per nuocere, e per sino quel mostro odioso della Cattiva aveva prodotto qualcosa di buono.

E così i mesi passavano, e Peter e Kate si abituarono all’idea di avere camere separate e non ci pensarono più granché. I giorni importanti arrivavano e finivano: il compleanno di Peter, la sera dei fuochi d’artificio, Natale, il compleanno di Kate, e infine la Pasqua. Accadde due giorni dopo la consueta caccia all’uovo di Pasqua. Peter era sul letto in camera sua, pronto a mangiarsi l’ultimo uovo rimasto. Era il più grande e il più pesante ed era per quello che Peter se lo era lasciato per ultimo. Lo sfogliò della carta azzurra e argentata. Aveva quasi le dimensioni di un pallone da rugby. Peter se lo tenne tra le mani, per osservarlo bene. Poi lo avvicinò e premette contro il guscio con i due pollici. Quanto gli piaceva quel profumo di cacao denso e burroso che si sprigionava dalle buie pareti concave. Si portò l’uovo alle narici e respirò profondamente. Poi si mise a mangiare.


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