Читаем по-итальянски Ian McEwan L'inventore di sogni
Coll’andar dei giorni, a furia di rigirarsi in testa
quel pensiero, Peter finì per convincersi che la sua vita fosse probabilmente
soltanto un sogno. C’era qualcosa di simile a un sogno nel modo in cui i
bambini al mattino si riversavano tutti a scuola, e nel modo in cui la voce
della maestra fluttuava nell’aria dell’aula, e nel fruscio che faceva la sua
gonna, quando si dirigeva verso la lavagna. Ed era decisamente da sogno, il
modo in cui la maestra gli si parava di fronte all’improvviso per chiedergli:
- Peter? Peter? Mi ascolti? Stavi fantasticando di nuovo?
Lui si sforzò di dirle la verità. - Credo di aver
sognato che stavo fantasticando.
L’intera classe scoppiò a ridere. Meno male che Mrs
Burnett aveva un debole per lui. Gli passò una mano tra i capelli e disse: -
Sta’ attento –
Poi si avviò al fondo dell’aula.
Fu dunque così che quel giorno durante la
ricreazione, Peter si ritrovò da solo ai margini del cortile. Guardando,
chiunque avrebbe visto un bambino vicino al muro che fissava lo sguardo nel
vuoto, senza fare niente. In realtà, Peter pensava molto intensamente. Era
stato sul punto di addentare la mela, quand’ecco un’altra delle sue idee
brillanti. Un’illuminazione. Se la vita era un sogno, allora la morte doveva
essere il momento in cui ci si sveglia. Era talmente semplice che non poteva
non essere così. Uno moriva, il sogno era finito, e ci si svegliava. Ecco
perché la gente parlava di paradiso. Era come svegliarsi. Peter sorrise. Stava
quasi per concedersi la ricompensa di un morso di mela, quando sollevò lo sguardo
e si ritrovò gli occhi puntati sulla faccia rosa e tondetta di Barry Tamerlane,
il prepotente della scuola.
Sorrideva, ma non aveva l’aria contenta. Sorrideva,
perché voleva qualcosa. Aveva attraversato il cortile in diagonale, senza
badare agli altri che giocavano a pallone, a campana e a saltare la corda.