Читаем по-итальянски Ian McEwan L'inventore di sogni
Si preparò un po’ di cena: un tramezzino di burro e
zucchero. Poi, scaraventò piatto e coltello nell’immondizia. Infine vagò per
casa, contemplando le stanze deserte. Ora si che riusciva a pensare, ora si che
poteva dedicarsi all’invenzione delle sue invenzioni; gli bastava solo trovare
un foglio di carta e una matita. Il guaio è che le matite dovevano far parte
del genere di oggetti sparsi finiti in uno degli undici sacchi. Pazienza. Prima
di affrontare il lavoro serio, poteva concedersi qualche minuto davanti alla
televisione. In casa Fortune non era del tutto proibito guardare la Tv, ma
nemmeno granché tollerato. La razione diurna concessa ammontava a un’ora. A
detta dei Fortune adulti, più di così, spappolava il cervello. Non che avessero
mai offerto alcun dato clinico in difesa della teoria. Erano le sei di sera
quando Peter sedette in poltrona con il suo litro di limonata, un chilo di
caramelle mou e la torta margherita. Quella sera si guardò la razione di un’intera
settimana. Era da poco passata l’una, quando si mise in piedi come poteva e
vacillando verso l’ingresso buio, gridò: - Mamma! Credo di aver voglia di
vomitare -. Si mise sul lavandino, in attesa del peggio. Niente da fare. Quello
che accadde fu ancora peggio del peggio. Dal piano di sopra gli giunse un suono
non facile a definirsi. Come una specie di squittio, uno svolazzamento seguito
da passi gommosi, tipo quelli di una creatura viscida che attraversi in punta
di piedi una grossa pozzanghera di gelatina verdastra. La nausea di Peter
scomparve per lasciare il posto al terrore. Si fermò in fondo alle scale.
Accese la luce e sbirciò in alto. - Papà, - azzardò. Papà? - Nessuna risposta.
Inutile cercare di sistemarsi di sotto a dormire.
Non c’erano coperte, e i cuscini, li aveva buttati tutti via. Si incamminò su
per le scale. Ogni gradino scricchiolava al suo passaggio. Il cuore gli batteva
forte dentro le orecchie. Gli parve di aver sentito quel suono un’altra volta,
ma non ne era sicuro. Si fermò e trattenne il fiato. Niente: soltanto il sibilo
del silenzio e il suo cuore impazzito. Guadagnò altri tre scalini. Se soltanto
Kate fosse stata in camera sua a parlare con le bambole. Gli mancavano quattro
gradini al pianerottolo. Se davvero c’era un mostro che si trascinava avanti e
indietro nella pozza di gelatina, allora doveva essersi fermato ad aspettarlo.
La porta della sua stanza da letto era sei passi più in là. Contò fino a tre e
scattò. Si sbatté la porta alle spalle, la chiuse a chiave e vi si appoggiò con
tutto il peso del corpo, in attesa.