Читаем по-итальянски Ian McEwan L'inventore di sogni
- Non vale. Le unghie e i denti, d’accordo. Ma (dare
spintoni a quel modo. Non vale e basta.
- La prossima volta, - gli gridò dietro Peter,
impari a chiedere prima il permesso.
Il gatto nero non replicò, ma quella sua ritirata
sbilenca lasciava intendere che avesse afferrato il concetto.
Il mattino dopo, Peter se ne stava sdraiato sul
calorifero con il capo appoggiato a una zampa e l’altra ciondoloni nell’aria
calda che saliva. Intorno a lui era tutto un andirivieni frenetico. Kate non
riusciva a trovare la cartella. Il porridge era bruciato. Il signor Fortune era
di cattivo umore, perché il caffè si era rovesciato sul gas e lui aveva bisogno
di berne almeno tre tazze, per poter incominciare la giornata. La cucina era un
disastro e su quel disastro aleggiava il fumo dei cereali bruciati. E manco a
dirlo era tardi, tardi, tardi!
Peter si arrotolò la coda intorno alle zampe di
dietro e cercò di contenere il ronzio delle fusa. Nell’angolo opposto della
stanza, c’era il suo corpo di sempre con dentro lo spirito del Gatto William, e
quel corpo doveva andare a scuola. Il Bambino William sembrava indeciso. Aveva
già indosso il cappotto, era pronto per partire, ma aveva trovato una scarpa
sola. L’altra non c’era stato verso di scovarla. - Mamma, - continuava a
frignare, dov’è la mia scarpa? - Ma la signora Fortune era nell’ingresso,
impegnata a discutere con qualcuno al telefono.
Il Gatto Peter socchiuse gli occhi. Dopo quella vittoria,
si sentiva stanchissimo. Tra non molto tutta la famiglia sarebbe stata fuori, e
la casa sarebbe piombata nel silenzio. Una volta che il calorifero si fosse
raffreddato, sarebbe salito a cercarsi il letto più comodo. E in memoria dei
vecchi tempi, avrebbe scelto proprio il suo.