Читаем по-итальянски Ian McEwan L'inventore di sogni
Finché non ebbe finito, Peter non poté pensare ad
altro. Poi, prima ancora che gli tornasse in mente l’oggetto della questione,
fu nuovamente da un biberon di succo d’arancia che frizzava, pizzicava e faceva
glu glu. Infine fu la volta della banana schiacciata. Era talmente buona che
Peter si sentiva fiero di averne anche tra i capelli e sulle mani e in faccia e
sul tovagliolo.
Dopodiché lasciò ciondolare la testa sul lato del
seggiolone. Era così sazio da essere sfinito. Ma sapeva di dover parlare.
Questa volta la prese con calma, spingendo la punta della lingua contro la
parete del suo unico dente.
- Zia Laura, - disse cauto, - in effetti io non sono
il tuo bambino, sono Peter. È tutta colpa di Kate...
- Sì, sì, - concordò la zia Laura. - Aguuu, aguuuu,
ma certo. Guarda un po’ come ti sei ridotto. Uovo e banana dalla testa ai
piedi. Qui ci vuole proprio un bagnetto.
E Peter già volava su per le scale tra le braccia
della zia. Sul pianerottolo incrociarono Kate.
- Weeeh, - le gridò lui. - Weeeh, weeeh!
- Cicici, cococo! - rispose lei, tenendo alta la
bacchetta magica.
Qualche minuto dopo Peter si trovava seduto in una
vasca da bagno quasi grande come una piscina, circondato da piccole onde
tiepide. Sapeva bene di dover fare un discorso a sua zia, ma per il momento era
più interessato a prendere a schiaffi la superficie dell’acqua. Che meraviglia
quegli spruzzi complicati e diversi che si dividevano in goccioline per aria e
poi ricadevano a tuffo disegnando cerchi che stropicciavano l’acqua. Che spasso.
- Ehi, che bellezza! - si sentì urlare. - Iiii ink
aaak! - Era tanto eccitato che irrigidì di scatto gambe e braccia e si rovesciò
sulla schiena. La zia Laura gli prese dolcemente la testa nella coppa di una
mano.
Lo spavento lo riportò in sé, e Peter ricordò di
voler far sapere alla zia chi fosse davvero. - Awaba... - incominciò, ma all’improvviso
il suo corpo fu lanciato fuori dall’acqua, come un missile sparato da un
sottomarino, per poi atterrare su un asciugamano bianco sconfinato come il
giardino dietro la casa.
Fu quindi asciugato, imborotalcato, avvolto in un
pannolino, abbottonato dentro una tuta da notte e trasferito in camera da
letto, dentro la culla di Kenneth. La zia Laura gli cantò una canzone
dondolante e curiosa che parlava di una paperella che andava intorno a una
certa fontanella.
- Ancora! - le gridò. - Unga!
E lei gliela cantò ancora. Poi gli diede un bacio,
sistemò la spondina della culla e piano piano uscì dalla stanza.