Читаем по-итальянски Ian McEwan L'inventore di sogni
Per alcuni giorni, Laura si fece vedere ben poco, ma
il piccolo Kenneth fu molto presente. Peter si meravigliò che una persona così
piccina potesse occupare tanto spazio. Nell’ingresso c’erano carrozzella e
passeggino, in soggiorno, tutti ammassati, il box, la sdraietta, il girello e
un mucchio di giocattoli, mentre in cucina, il seggiolone bloccava l’accesso
allo sportello dell’armadietto che conteneva i biscotti.
Per non parlare di Kenneth, che era dappertutto. Era
uno di quei bambini talmente veloci quando gattonano, da non aver niente da
guadagnare imparando a camminare. Si spostava sulla moquette a velocità
inquietante, come un carroarmato. Apparteneva alla categoria dei bambini sbudinfi,
di quelli con il mascellone quadrato che sostiene la faccia umidiccia di un
rosa eccessivo, con occhi vispi e decisi e un paio di narici che si allargavano
quanto quelle di un lottatore sumo se non otteneva subito ciò che voleva.
Kenneth era un rapace. Il suo caldo pugnetto bagnato
si avventava su qualunque oggetto non troppo lontano e sollevabile, che subito
veniva trasferito alla bocca. Era un vizio sconcertante. Cercò di mangiarsi il
pilota dell’aereo che Peter stava montando. E dello stesso aereo masticò anche
le ali. Si divorò i quaderni di Peter. Smangiucchiò le matite, il righello e i
libri. Poi gattonò fino alla stanza da letto e cercò di rosicchiare anche la
macchina fotografica che Peter aveva ricevuto per il suo compleanno.
- Questo qui è pazzo! - strillò Peter asciugando la
macchina fotografica mentre sua madre portava via Kenneth. - Se solo riuscisse,
si mangerebbe anche tutti noi.
- E’ solo una fase, - disse Kate saggia. - Ci siamo
passati tutti - Anche quel tono pacato da so-tutto-io che sua sorella aveva
assunto dall’arrivo di Kenneth incominciava a dargli sui nervi. Lo aveva preso
dalla mamma. In realtà era chiaro come il sole che quel bambino era un
disastro. Il momento peggiore era quello dei pasti. Kenneth aveva il dono di
trasformare il cibo in una orrenda poltiglia. Se lo strizzava tra le dita fino
a farlo gocciolare come colla che poi gli scendeva giù per le braccia, o gli
imbrattava la faccia, i vestiti e tutto il seggiolone. A Peter la sola vista di
quello spettacolo faceva girare lo stomaco. Si era ridotto a mangiare a occhi
chiusi. Per di più la conversazione era impossibile, perché il piccolo
strillava da spolmonarsi a ogni intervallo tra una cucchiaiata e l’altra.
Kenneth aveva preso possesso della casa. Non c’era più un solo angolo al riparo
da urla, odori, risate da iena ridens e manine fulminee. Svuotava armadietti e
scaffali, strappava riviste, faceva cadere lampade e rovesciava intere
bottiglie di latte. E sembrava che nessuno ci facesse caso. Anzi, tutti quanti
da sua madre alla zia, da sua sorella a suo padre, davano in gridolini estatici
a ogni rinnovarsi della catastrofe.